L’Agenzia delle Entrate ha risposto a un interpello (n. 57/E dell’1-3-2024) relativo all’imponibilità di una integrazione dell’indennità di congedo di maternità facoltativa per i tre mesi successivi al periodo di astensione obbligatoria erogata non come retribuzione monetaria ma in forma di ''welfare aziendale''.
L’importo dell’integrazione sarebbe accreditato nel conto Welfare individuale secondo le regole del Piano Welfare già in essere in azienda.
A parere dell’istante tali quote dovrebbero godere dello stesso trattamento fiscale e contributivo agevolato previsto per il Welfare aziendale ai sensi del secondo e terzo comma dell'articolo 51 del Tuir.
Il parere dell’Agenzia è, invece, negativo (le somme in oggetto devono assumere rilevanza reddituale ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Tuir) in quanto l’attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea ad individuare una ”categoria di dipendenti”.
Le opere, i servizi, le prestazioni e i rimborsi spesa, infatti, devono essere riconosciuti alla generalità o a categorie di lavoratori.
Occorre segnalare che in precedenti interventi l’Agenzia, e prima ancora il Ministero delle finanze, era stata molto più possibilista sull’individuazione delle categorie dei lavoratori. Il caso tipico è quello della borsa di studio destinata ai figli di tutti i dipendenti, ma fruibile soltanto da alcuni.
Più condivisibile sembra l’altro argomento utilizzato dall’Agenzia per esprimersi negativamente e che è bene considerare come indicazione generale. Secondo l’AE, infatti la lettura combinata dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 51 del TUIR esprime chiaramente un principio di infungibilità tra la retribuzione e il welfare aziendale. Quindi “qualora tali benefit rispondano a finalità retributive (ad esempio, per incentivare la performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori) 1).
1 Va detto che gli esempi utilizzati non sono del tutto attinenti con il caso in questione ), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione.”
Nel caso oggetto dell’interpello, invece, appare evidente la volontà dell’azienda di voler sostituire una parte di retribuzione con servizi di welfare con la conseguenza per cui le somme in oggetto debbano assumere rilevanza reddituale ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Tuir, in quanto, rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive.
Ci potremmo domandare se l’Agenzia delle Entrate sarebbe potuta arrivare ad una conclusione diversa qualora l’istante avesse riconosciuto una determinata somma, sotto forma di servizi welfare, in egual misura a tutte le lavoratrici al rientro dal congedo di maternità, non ancorando la determinazione dell’importo alla differenza tra il cento per cento della retribuzione lorda e l’indennità di maternità o congedo parentale a carico dell’Inps.
Questa domanda rimane comunque fine a sé stessa perché l’Agenzia, in modo non del tutto condivisibile, ha, come già detto, ritenuto che lo status di maternità non appare idoneo ad individuare una ”categoria di dipendenti”.
Come sempre, prima di arrivare alla conclusione, l’Agenzia fornisce un quadro completo della questione a cui rinviamo per chi fosse interessato.
1) Va detto che gli esempi utilizzati non sono del tutto attinenti con il caso in questione ), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione.”