«Un salario minimo già esiste ed è quello dei contratti collettivi che tutela tutti i lavoratori di tutti i livelli e non solo i profili professionali più bassi. Fondamentale resta in ogni caso porre attenzione al concetto di salario giusto più che minimo e cioè una retribuzione non solo “proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro”, ma “in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost)».
Così Confcooperative commenta il lavoro svolto dal Cnel sulla valutazione del salario minimo.
«Per la prima volta – si legge nella nota di Confcooperative – si è fatto un lavoro importante sui dati provenienti da diverse fonti perché l’analisi del tema doveva partire dai dati. È un buon lavoro, un punto di partenza serio e costruttivo. L’impegno dei corpi intermedi è stato generoso e responsabile. Il Cnel ha il merito di aver innescato un percorso virtuoso che mette al centro le Parti Sociali chiamate ad individuare soluzioni per i problemi rilevati. Un tavolo di lavoro che ha dato spazio alla rappresentanza e puntato su una concertazione reale che non si vedeva da tempo. Più che di salario minimo tout court vogliamo parlare di rafforzamento della contrattazione».
«Anche la direttiva comunitaria non impone l’obbligo del salario minimo, ma demanda al legislatore nazionale ed esprime una chiara preferenza per la contrattazione collettiva. Va duramente contrastata la contrattazione “pirata”, preoccupante perché favorisce la nascita di aree grigie del mercato dove si annida lo sfruttamento dei lavoratori. Per questo dobbiamo sostenere la contrattazione collettiva – conclude la nota – per superare aree e situazioni di criticità».