(di Eduardo Tincani – giornalista e direttore Centro Diocesano Comunicazioni Sociali)
Il servizio di cura alla persona anziana non è fatto solo di terapie ma anche e soprattutto di una “umanizzazione” in cui è vitale conservare la memoria integrale del paziente e la spiritualità gioca un ruolo decisivo. Volendo tentare una sintesi da tg, è questo il senso del primo incontro che FeDiSA ha voluto per celebrare il suo 25° compleanno e per fare cultura, secondo l’intendimento espresso dal presidente, con uno sguardo al Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità del 5 e 6 aprile.
L’evento formativo si è svolto la mattina del 27 marzo nei luminosi locali della Biblioteca Teologica “Città di Reggio”, aperti per l’occasione dalla direttrice Giulia Iotti, davanti a un uditorio qualificato, composto in gran parte da persone che vivono da vicino la vita delle diciassette case protette di FeDiSA disseminate nel Reggiano, in ordine alfabetico da Albinea a Vetto. I contenuti emersi sono parsi di rilievo anche per un pubblico più vasto: ecco il perché di questo resoconto. I relatori che si sono confrontati nella tavola rotonda - intitolata con dovizia di maiuscole “Accoglienza, Misericordia e Speranza: lo Spirito nella Cura” - hanno portato tre punti di vista costruttivamente differenti: Giacomo Franchini quello del frate medico responsabile da quasi trent’anni dell’infermeria provinciale dei Cappuccini; Elena Coluccio il contributo di una psicologa della cooperativa “Progetto Crescere”, esperta nella conduzione di équipe socioassistenziali; Martina Fiaccadori l’apporto della coordinatrice infermieristica dell’Hospice Casa Madonna dell’Uliveto di Montericco.
Significativi anche gli indirizzi di saluto. Il primo è stato quello del presidente di FeDiSA Giorgio Faietti, che ha richiamato le radici di fede della Federazione: “Oggi la quasi totalità delle strutture vede presidenti e amministratori laici - ha detto - però la nostra Chiesa locale non deve venir meno al proprio sostegno, mantenendo un forte patrocinio e individuando nuove modalità, gesti e azioni”. Faietti non ha eluso una domanda scomoda: “Perché continuare a gestire esperienze a volte faticose, piene di rischi e responsabilità, puntando alla massima qualità del servizio?”. Per la risposta, si è rifatto alla lettera che Papa Francesco convalescente ha scritto al direttore del Corriere della Sera: “La fragilità umana ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità”.
Il Vicario generale della Diocesi monsignor Giovanni Rossi ha ripreso l’immagine evangelica del buon Samaritano per sottolineare come la spiritualità della cura si declini in uno stile fatto di condivisione e di corresponsabilità. “Gli anziani - ha affermato - sono la memoria della comunità, il punto di riferimento che consegnando il passato lo rende gravido dei germi di novità del presente e delle speranze per il futuro”.
Il presidente della “Manodori” Leonello Guidetti ha ricordato come la Fondazione sia cresciuta insieme a FeDiSA nel comune intento di curvarsi sulle sempre più diffuse fragilità del territorio.
La tavola rotonda ha fatto emergere il modo in cui la spiritualità si incarna in esperienze diverse di vicinanza alle persone ammalate. Elena Coluccio ha parlato del desiderio di accompagnare, anche attraverso lo sportello psicologico, l’ospite delle case protette avendo cura della totalità della sua vita fino al momento del ricovero. La spiritualità - ha detto - si coniuga con la forte professionalità richiesta da questi luoghi e trova ragione nell’assistenza integrale al paziente e ai familiari all’interno della visione cristiana dell’uomo e della vita, accogliendo le loro fatiche e avvalendosi della connessione “curativa” con la comunità in cui la struttura sorge.
Martina Fiaccadori ha concentrato la sua analisi sulle persone che arrivano all’hospice, segnatamente sulla consapevolezza del limite alla vita e alle speranze di guarigione posto dalla diagnosi di malattia che esse hanno ricevuto. Questa condizione - ha spiegato - pone davanti a domande di spiritualità intese come ricerca di significato in un periodo che induce a fare bilanci della propria esistenza. Ma a differenza dell’analisi medica, tali interrogativi si sviluppano gradualmente all’interno della relazione, agita nei gesti di cura: una spiritualità “operativa” e confidenziale.
Frate Giacomo Franchini, dopo avere ricordato in breve gli ottocento anni di storia delle infermerie francescane, volute dal santo fondatore, ha parlato dell’ampia porzione del convento reggiano destinata ad accogliere i frati ammalati nei termini di una casa a conduzione snella e familiare, in cui la spiritualità, per ovvie ragioni, è già orientata dalla vocazione religiosa, con i suoi momenti di preghiera a scandire le giornate. Franchini ha consegnato tre domande che egli applica a se stesso (tra parentesi le sue risposte) e però possono valere per l’esame di coscienza di ciascuno: “Cosa conta veramente nella vita?” (Il bene che fai). “Chi te lo fa fare?” (Il dono dell’amore di Dio). “Qual è l’atteggiamento di fondo maturato in questi anni?” (Dare tutto il possibile e imparare ad affidarmi veramente a Dio, sapendo che non devo essere io a risolvere tutti i problemi).
Gli altri giri di tavolo e gli interventi dei partecipanti hanno consentito di parlare anche della declinazione della Speranza all’interno dei luoghi di cura, del valore delle équipe socioassistenziali e del benessere dei loro componenti, del calo del volontariato parrocchiale, della salvaguardia del valore distintivo delle case di FeDiSA, della crescente fragilità delle reti familiari attorno ai sofferenti.
Concludendo l’incontro Lucia Ianett, responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale della Salute, ha presentato la guida per ricevere nelle case l’indulgenza plenaria del Giubileo e lo specifico sussidio preparato dal nostro Ufficio Liturgico. E Roberto Magnani, direttore di FeDiSA, ha invitato ad accogliere questi strumenti con generosità.
L’attenzione per i nostri cari non può che partire dalla radici, per quanto vecchie o malandate possano apparirci, e lo spirito va curato insieme al corpo: grazie ai posti in cui questa cultura, e diciamo pure questa pastorale, è di “casa”.